Quale insegnamento e quale scuola

Prendo spunto da un corso sui sistemi di gestione della qualità per chiedermi cosa sia l'insegnamento oggi e, soprattutto, il sistema dell'istruzione, cercando di mettere a fuoco almeno quella che pare essere la sua attività più caratterizzante.

PDF di Bruno Bozzetto sui sistemi qualità

1) Formazione d'aula - E' appropriata per trasmettere concetti e conoscenze teorici e tecnico-procedurali. Gli strumenti sono la lezione frontale con lavagna e proiezione di slides. L'allievo ha un suo posto ben preciso su una sedia o un banco: da una parte gli allievi, dall'altra il docente.
Il rapporto formativo e comunicativo avviene uno a uno: dal docente all'allievo e viceversa. Il ruolo del docente è cattedratico e appare inarrivabile dall'allievo. Il docente è in genere capace di svolgere questo ruolo perché si basa sul riconoscimento, da parte dell'allievo, della preparazione disciplinare del docente stesso che, salvo beneficio di inventario, è stata già verificata da altri (concorso pubblico, assunzione in base a titoli, ecc.).

2) Outdoor training - Letteralmente: esercitarsi fuori dalla porta, dunque, all'aperto, lontano dall'aula e dai suoi metodi. E' la sostituzione del concettuale con l'esperienza diretta. Con essa si acquisisce fiducia nel saper fare e curiosità nel provare soluzioni creative diverse. L'esperienza viene generalmente condotta in forma di gruppo.
Il rapporto formativo è costituito da una rete di relazioni tra allievi e tra gruppi, e tra questi e il docente, che si configura come uno stimolatore, un facilitatore delle intuizioni, come uno che si mette in gioco sperimentando egli stesso al pari degli allievi. Questa fase deve essere seguita da un momento di riflessione a tavolino (meglio se è un grande tavolo rotondo). Se il docente non è bravo in questo ruolo, il risultato percepito dagli allievi è un sentimento di inconcludenza, di non inquadrare bene quel che si è fatto o tentato di fare.

3) Coaching - Si tratta dell'allenamento del gruppo come un tutt'uno, come una squadra. Presuppone che si siano fissati degli obiettivi comuni precisi verso cui tendere. Il coach, l'allenatore, ovvero il docente, indirizza e stimola l'insieme degli allievi verso il risultato su un caso concreto, non più verso lo sperimentare creativo. In questa fase si devono avere già capacità operative e consapevolezza del proprio ruolo. Non è necessario che si lavori sempre gomito a gomito, e gli strumenti possono essere talora anche individuali per cui, oltre all'aula, può essere utile una piattaforma informatica, lo scambio di messaggi e-mail, ecc..
Il rapporto allievi-docente non è strettamente formativo, in quanto il docente stesso è parte attiva del risultato, anche se deve tendere al consolidamento delle capacità individuali.

4) Self-development - E' la fase del distacco dal docente. L'allievo, che ormai non può più dirsi nemmeno allievo, sperimenta le sue capacità personali sviluppando padronanza nei casi che gli si presentano e, soprattutto, nelle situazioni che lui stesso è in grado di modellare.
Il docente aiuta allievo a mettere a fuoco le competenze raggiunte e ad individuare le linee e i modi d'azione sulle quali insistere ancora e, soprattutto, a stabilire un tempo di scadenza per la verifica o l'autoverifica.

Non c'è dubbio che la scuola in genere, finora, non ha che svolto formazione d'aula e che raramente o solo in particolari situazioni si è spinta all'outdoor-training, ad esempio nel caso dei laboratori e dei seminari su qualche argomento. In qualche caso episodico si è giunti anche al coaching, come ad esempio nell'organizzare una mostra dei propri lavori, specialmente nelle scuole artistiche, o nel partecipare alle olimpiadi della matematica.
Non pare, però, si siano sperimentate ancora forme di self-development. Ad esempio, l'allievo che esce dalla scuola non viene più seguito in nessuna sua attività, né che scelga un lavoro, né che prosegua studi universitari o intermedi, e questa appare la maggiore carenza dell'istituzione scolastica e, perfino, di quella universitaria.
Che sia "merito" di un modo vecchio di vedere la scuola non c'è ubbio. In fondo, per fare l'insegnante basta il famoso "pezzo di carta", dal momento che non si fanno nemmeno più i concorsi a cattedra e si assume o per graduatoria o con quei finti concorsi e corsi abilitanti lucrosi, sicuramente, e di dubbia utilità.

Le istituzioni scolastiche e universitarie non si sentono parte responsabile del destino cui andrà incontro il giovane dopo il diploma o la laurea.
Eppure, c'è una grande aspettativa in tutte le parti che hanno un interesse (stakeholders) verso le istituzioni della formazione, come le famiglie, le imprese, le istituzioni culturali, gli enti pubblici, ma non pare ancora che, almeno nel nostro Paese, si sia giunti ad una maturazione culturale tale da far sentire attivamente la propria voce, ad esempio oltre che con generici proclami anche con la partecipazione alla formulazione di linee programmatiche e all'approntamento di quelle poche risorse necessarie se confrontate con l'insieme delle risorse che lo stato e le famiglie improntano ogni anno allo scopo.

Sullo sfondo di questo ragionamento, però, pesa enormemente il ruolo di quello che oggi è il cosiddetto "dirigente scolastico", fino a qualche anno fa chiamato preside, che era una specie di primus inter pares, proveniente dall'interno della carriera scolastica, per lo più ex docente e, dunque, perfettamente a conoscenza almeno dei meccanismi motivazionali del personale, degli allievi e delle famiglie e, qualche volta, anche degli stakeholders, e non solo delle norme amministrative e di bilancio. Per fare un esempio tra un dirigente e uno scrittore, è come se quest'ultimo si limitasse a ripetere le lettere dell'alfabeto come alle elementari, ignorando che possono servire ad imbastire un romanzo o un saggio.
Per attivare quel complesso di azioni, dalla formazione d'aula al self-development, e tenere i rapporti con gli stakeholder, non sembrano particolarmente attrezzati in quanto a capacità di vision, di mission, di atteggiamento positivo, di comunicazione efficace e, soprattutto, di esempio che, invece, sarebbero necessari nella scuola moderna per portarla fuori dalle ancora pesantissime secche della riforma gentiliana del 1923 che ha impropriamente scisso il sapere umanistico da quello scientifico, e questi dal sapere tecnico, cicatrice ancora aperta nella cultura popolare e nella scuola, e che si riflette negativamente sull'atteggiamento dei giovani verso le materie scientifiche e verso la scienza in genere.
Nonostante la Comunità Europea abbia emanato le prime direttive sui sistemi qualità fin dal 1984, e nel 2000 l'ISO abbia emanato norme apposite per il settore education, e che costantemente l'UNI e gli enti di certificazione organizzino corsi e seminari sulla materia, e anche nel settore scolastico, i nostri, a distanza di un quarto di secolo, sembrano più bravi gestori, nel migliore dei casi, di una configurazione statica fatta di norme e direttive dall'alto, ma incapaci di misurarsi sulle dinamiche di una società che sfugge vertiginosamente dal XX secolo sotto le pressioni della globalizzazione e per la quale la qualità della propria attività rappresenterebbe solo un minimo pass per evitare l'abisso.
A proposito di questi dirigenti mi viene in mente un detto inglese che recita: Per chi non ha che un martello, tutti i problemi sembrano chiodi.

Nella nostra scuola d'arte sono state le mancate riforme dell'inizio degli anni '90 a portare a questa situazione di crisi, aggravata via-via dalle mancate o false riforme, prima quella del ministro Berlinguer e poi quelle dei successori fino a quella del Ministro Fioroni, che con lo specchietto delle allodole dell'autonomia sottraevano risorse alla scuola per portarle sul versante del nuovo ruolo dell'Italia nello scacchiere mondiale delle cosiddette missioni di pace.
Se, bene o male, fino ai primi anni '90 vi erano corsi e seminari di aggiornamento e di formazione che potevano essere tranquillamente frequentati dai docenti, nel corso dell'ultimo decennio questa pratica ha lasciato il posto all'amarezza del dover constatare che non vi sono più fondi per i rimbordi spese e, talora, nemmeno per la sostituzione dell'insegnante che si assenta, a sue spese, per un corso, così come, addirittura in molti casi, nemmeno per le fotocopie interne e per la carta igienica, che viene concessa dai bidelli caso per caso su richiesta dell'alunno.

Per concludere (provvisoriamente), ritengo utile riportare una nota del 1911 di Emil Muller (1861-1927), il maggiore rappresentante della scuola geometrica austriaca, espressa nell'ambito dei progetti di riforma della scuola nell'Austria dell'epoca, e relativa alla didattica: "Soltanto le persone bene istruite e di ampie vedute riusciranno ad adempire la missione importante di insegnanti – instillare e propagare l’amore per l’idea del progresso nella scuola ma anche in tutte le altre attività. (...) A mio parere lo scopo della riforma della scuola é basato sul fatto che lo spirito scientifico prenda la figura dell’insegnante, spirito scientifico moderno e con risvolti pedagogici – nella misura piú alta possibile – e nell’incorraggiare gli insegnanti nel loro entusiasmo per questa professione faticosa ma bellissima. (...) Da parte dell’amministrazione scolastica, bisognarebbe métter l’accènto per elevare il rispetto della professione d’insegnante – anche riguardo all’aspetto economico – ma è necessario concentrarsi sull’istruzione e sulla scelta dei futuri insegnanti."
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Sul tema dell'insegnamento e dell'apprendimento vedi anche GRIM (Facoltà di Matematica dell'Università di Palermo)
Infine, sulla didattica della matematica, propongo il Problema delle patate, per riderci un po', ma anche Pavel Florenskij.